lunedì 4 febbraio 2013
Un cappello pieno di ciliege (Oriana Fallaci)
Con Oriana concludo, da Oriana riparto. Curioso che questo blog, dopo un mese di assenza che (ne ero praticamente certa) si sarebbe prolungato in eterno, riprenda più o meno vita da un nuovo libro di Oriana Fallaci. Il secondo che leggo in due mesi, il quarto nella mia breve vita.
Ho scoperto Oriana Fallaci alle medie, leggendo Lettera a un bambino mai nato e capendo poco. L'ho ritrovata alle scuole superiori, indignandomi per la lunga serie di idee non condivisibili esposte in La rabbia e l'orgoglio. L'ho conosciuta, forse per la prima volta, poco più di un mese fa immergendomi nell'acquisto casuale di Un uomo in una libreria di via XX Settembre.
Ho trovato in lei la giornalista che voglio essere, la scrittrice a cui voglio assomigliare e la folle vecchiaia che spero di non imitare. Questo libro ha riconfermato in me la dote che più ammiro in lei e in ogni altro scrittore: la ricerca ossessiva della precisione e della perfezione, l'affondare nella trama con rigore scientifico fino a misurarne ogni dettaglio, ogni riscontro con la realtà.
Un cappello pieno di ciliege (Rizzoli, 2008) non risponde alla domanda più gettonata dai suoi lettori (ne ho trovato conferma su Google), ossia Chi è il bisnonno di Oriana Fallaci?... Vittorio Emanuele II, forse, ma non lo sapremo mai ed è giusto così. Il gossip lasciamolo a chi lo sa praticare.
Un cappello pieno di ciliege non è solo una fantasiosa - ma non troppo, forse - saga familiare, che da Napoleone all'alba del Novecento delinea l'intrecciarsi delle quattro famiglie che le hanno dato i natali, le cui storie si intrecciano con quelle di Giuseppe Garibaldi, Camillo Cavour, Thomas Jefferson.
Un cappello pieno di ciliege non è solo un'indagine scientifica sulle combinazioni che hanno portato i suoi bisnonni, trisnonni e arcavoli a incontrarci, eventi o coincidenze senza i quali non sarebbe mai venuta al mondo.
Un cappello pieno di ciliege non è solo quindici anni di lavoro - gli stessi in cui ha lottato contro il suo mal dolent - condensati in ottocento pagine interrotte troppo presto, e di cui la Fallaci lasciò in eredità al nipote manoscritto e precise istruzioni sulla sua pubblicazione (incluso il non rivelare il nome del bisnonno di cui sopra, ammesso che lui lo sappia).
Un cappello pieno di ciliege è un affresco della storia d'Italia, d'Europa e degli Stati Uniti a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, e per quanto azzardato direi che dovrebbe essere inserito fra le letture obbligatorie a scuola con I Promessi Sposi e la Divina Commedia.
Mancano poche pagine alla fine del mio viaggio con questa donna immensa. Mentre mi chiedo quanto ci sia di vero in quelle pagine (quasi tutto, credo e spero), la immagino nella sua casa in Toscana a riordinare appunti, a soffiare via la polvere dai vecchi libri, a disegnare volti con la mente, a ricostruire con la memoria quell'antica scatola andata distrutta con il bombardamento del '44. La immagino prendere il treno, l'auto o l'aereo per ripercorrere uno a uno i luoghi che troviamo fra le pagine. La immagino sofferente del suo mal dolent incurabile, con la scrittura come unica medicina.
La scrittura e la memoria come uniche medicine.
[l'immagine viene da qui]
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento