Vi siete mai chiesti come mai, dato (1) il clima di pseudo-dittatura in cui si trova l'Italia, con un premier che ci burattineggia a suo uso e consumo e un'opposizione inesistente, (2) la violazione di ogni elementare diritto umano in Cina, Tunisia, Sudan e altri Paesi del mondo (3) la globalizzazione che fra oggi e domani porterà i lavoratori Fiat ad accettare uno dei peggiori ricatti della storia (4) la sostenibilità del pianeta che sta andando a farsi benedire....
...sui media sentite parlare solo delle ricerche di Yara (con tutto il rispetto, ma nel 2010 sono scomparsi oltre 700 minori in Italia, cos'ha lei in più degli altri?), dell'emergenza freddo e influenza in pieno dicembre (come??? gelo e neve a dicembre??? Roba mai vista!) e delle ricette di Benedetta Parodi?
Noam Chomsky illustra attraverso dieci semplici regole come i media cercano di manipolarci la mente (e in molti casi ci riescono). So che il post è lungo e me ne scuso, ma prendete 5 minuti per leggerle, è fondamentale per capire a cosa stiamo andando incontro.
1-La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3- La strategia della gradualità
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4- La strategia del differire
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti….
7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.
8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9- Rafforzare l’auto-colpevolezza
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
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giovedì 13 gennaio 2011
venerdì 10 dicembre 2010
Perle di saggezza dalla lezione di oggi
Oggi a lezione abbiamo incontrato Federico Crespi, titolare della maggiore agenzia di comunicazione del Ponente ligure.
Questo è (per dirla alla Fazio) l'elenco di com'è andata.
1) Lavorare nella comunicazione non è solo gestire gli affari del cliente, ma aiutarlo a crescere.
2) La facoltà di scienze della comunicazione in Italia sono troppe e tendono solo a produrre disoccupati (n.b. da laureata in scienze della comunicazione concordo in pieno. L'università purtroppo non insegna ai ragazzi che il lavoro bisogna crearselo, che bisogna crederci, che non è scaldare una sedia - sempre la stessa per 40 anni magari, che rende degno quel titolo di studio).
3) Il consumatore non si raggiunge con la pubblicità tradizionale, ma attraverso diversi messaggi che si trasmettono su diversi mezzi.
4) Le fan page di Facebook sono un efficace esempio per distinguere un'azienda che sa comunicare bene da una che sa comunicare e basta.
5) Il prodotto è il primo mezzo di comunicazione.
6) Chi vuole lavorare nella comunicazione deve studiare sempre. Rimanere indietro significa essere fuori. E' fondamentale formarsi professionalmente a prescindere dal proprio lavoro.
7) Voi ragazzi lavorerete un anno di qua, tre mesi di là, tre anni di là, starete sei mesi senza lavorare, poi cambierete città per un anno, poi tornerete. Questa è la realtà, ed è fondamentale che sia così per la vostra crescita.
8) La situazione migliore è quella in cui il lavoro diventa il proprio hobby.
Questo è (per dirla alla Fazio) l'elenco di com'è andata.
1) Lavorare nella comunicazione non è solo gestire gli affari del cliente, ma aiutarlo a crescere.
2) La facoltà di scienze della comunicazione in Italia sono troppe e tendono solo a produrre disoccupati (n.b. da laureata in scienze della comunicazione concordo in pieno. L'università purtroppo non insegna ai ragazzi che il lavoro bisogna crearselo, che bisogna crederci, che non è scaldare una sedia - sempre la stessa per 40 anni magari, che rende degno quel titolo di studio).
3) Il consumatore non si raggiunge con la pubblicità tradizionale, ma attraverso diversi messaggi che si trasmettono su diversi mezzi.
4) Le fan page di Facebook sono un efficace esempio per distinguere un'azienda che sa comunicare bene da una che sa comunicare e basta.
5) Il prodotto è il primo mezzo di comunicazione.
6) Chi vuole lavorare nella comunicazione deve studiare sempre. Rimanere indietro significa essere fuori. E' fondamentale formarsi professionalmente a prescindere dal proprio lavoro.
7) Voi ragazzi lavorerete un anno di qua, tre mesi di là, tre anni di là, starete sei mesi senza lavorare, poi cambierete città per un anno, poi tornerete. Questa è la realtà, ed è fondamentale che sia così per la vostra crescita.
8) La situazione migliore è quella in cui il lavoro diventa il proprio hobby.
martedì 20 luglio 2010
Hai scritto un manoscritto?
Chi come me bazzica i blog-forum-pagine Facebook dedicati a scrittura ed editoria sa già che su Mediaset è piombato lo spot di una benefattrice editoriale che pubblica i migliori esordienti d'Italia. Quello che suddetta benefattrice omette di dire, e che i migliori esordienti d'Italia devono sborsare alcune migliaia di euro per vedere pubblicata la loro opera, che sia un romanzo storico o una serie di copia/incolla assolutamente casuali (ma con una mirabile caratterizzazione dei personaggi).
Per non dare ulteriori clic a suddetta benefattrice, condivido volentieri il controspot del gruppo Studio 83.
E se qualcuno di voi ha davvero scritto un manoscritto, ricordo anche l'iniziativa del blog letterario Sul Romanzo.
Per non dare ulteriori clic a suddetta benefattrice, condivido volentieri il controspot del gruppo Studio 83.
E se qualcuno di voi ha davvero scritto un manoscritto, ricordo anche l'iniziativa del blog letterario Sul Romanzo.
martedì 29 giugno 2010
Vuoi pubblicare un romanzo?

Il blog SulRomanzo propone una nuova iniziativa, dopo il lancio di Scrivi il romanzo che è in te (di cui anche io faccio in-gloriosamente parte).
Se qualcuno tra voi ha un romanzo nel cassetto e vuole provare a vederlo pubblicato, andate sul blog e seguite le indicazioni del post. Tentare la sorte non nuoce mai, mai mai!
PS, anche se magari non c'è bisogno di sottolinearlo: il tutto, rigorosamente, avviene con case editrici non a pagamento.
martedì 1 giugno 2010
SulRomanzo: la nuova webzine e Scrivi il romanzo che è in te
Un paio di chicche by il mio carissimo amico e "collega" Morgan Palmas, meglio conosciuto come SulRomanzo, che è il titolo del suo seguitissimo blog.
Anzitutto, oggi è uscito il terzo numero della webzine, con molti interessanti articoli fra cui una mia analisi di Carrie di Stephen King. Date un'occhiata! E se vi siete persi i primi due numeri, basta cliccare su Issuu.com (piattaforma che ho recentemente adottato anche per i miei racconti).
E last but non the least, un'iniziativa bellissima che è stata lanciata dal blog: scrivi il romanzo che è in te. Mancano pochissimi giorni per partecipare: si formeranno gruppi di scrittura in varie città italiane, e ciascun partecipante darà vita al suo romanzo grazie al supporto delle lezioni di Morgan e alla condivisione con gli altri membri del gruppo.
Il termine ultimissimo per iscriversi è lunedì 7 giugno. In particolare servono persone nelle zone di Genova (sono tutta sola soletta finora...), Livorno e Grosseto.
Vi interessa partecipare, o conoscete qualcuno che potrebbe farlo? Condividete la notizia su Facebook e sui vostri blog!
Anzitutto, oggi è uscito il terzo numero della webzine, con molti interessanti articoli fra cui una mia analisi di Carrie di Stephen King. Date un'occhiata! E se vi siete persi i primi due numeri, basta cliccare su Issuu.com (piattaforma che ho recentemente adottato anche per i miei racconti).
E last but non the least, un'iniziativa bellissima che è stata lanciata dal blog: scrivi il romanzo che è in te. Mancano pochissimi giorni per partecipare: si formeranno gruppi di scrittura in varie città italiane, e ciascun partecipante darà vita al suo romanzo grazie al supporto delle lezioni di Morgan e alla condivisione con gli altri membri del gruppo.
Il termine ultimissimo per iscriversi è lunedì 7 giugno. In particolare servono persone nelle zone di Genova (sono tutta sola soletta finora...), Livorno e Grosseto.
Vi interessa partecipare, o conoscete qualcuno che potrebbe farlo? Condividete la notizia su Facebook e sui vostri blog!
lunedì 31 maggio 2010
Giornata nazionale contro l'editoria a pagamento
Ricevo e pubblico un post della Writer's dream in merito alla Giornata nazionale contro l'editoria a pagamento, che si tiene oggi. Se credete che il talento sia un valore e non un diritto, condividetelo nei vostri blog.
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Editoria a pagamento: cos’è? È quella cosa per cui tu, aspirante scrittore a caccia di una casa editrice, devi sborsare soldi per vedere pubblicata la tua opera.
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Editoria a pagamento: cos’è? È quella cosa per cui tu, aspirante scrittore a caccia di una casa editrice, devi sborsare soldi per vedere pubblicata la tua opera.
In altri termini significa che tu, impiegato presso una qualsiasi azienda, devi pagare il tuo capo 1200€ al mese. Perché? Perché sì, naturalmente, perché il mercato è in crisi e non pretenderai che l’azienda si sobbarchi rischi simili? Già ti permettono di lavorare e di avere un posto quando la crisi finirà, quindi zitto e firma l’assegno.
Questa è la prima giornata nazionale contro l’editoria a pagamento, caro scrittore, e siamo qui non tanto per protestare quanto per informare tutti gli autori che, come te, sono alla ricerca di un editore che pagare per pubblicare non è l’unico modo.
E non è nemmeno la regola.
E non è nemmeno la regola.
Pubblicare non è un diritto. Non è un diritto inalienabile dell’uomo, si può vivere benissimo anche senza pubblicare un libro. Detto questo, pensa un attimo a una cosa. Prova a immaginare di avere solo la terza media e di volere, a tutti i costi, diventare architetto.
Cosa fai? Vai in uno studio e pretendi di essere assunto? No. Non lo faresti mai, nemmeno ti passa per la testa: non hai le competenze per farlo e un tuo errore causerebbe la morte di molte persone.
Allora perché intestardirsi sul voler pubblicare a tutti i costi? Diventeresti architetto corrompendo, pagando chi ti assume e sapendo che potresti ammazzare qualcuno?
Pubblicare senza averne le competenze equivale a voler fare l’architetto con la licenza media.
Se pagare l’esaminatore per farti passare l’esame della patente senza studiare è corruzione, pagare per pubblicare è perfettamente legale ma a conti fatti cambia qualcosa?
La maggioranza degli editori a pagamento pubblica qualunque cosa. A questo proposito guardati questo video.
Pubblicare non è un servizio. L’editore che sceglie di pubblicare un manoscritto non lo fa per carità divina, per fare un favore all’autore o perché l’autore gli è simpatico: lo fa perché crede che da quel libro potrà ricavarci qualcosa in termini economici.
L’editore è un imprenditore: scommette i propri soldi in ciò che ritiene redditizio; esattamente come fa chi acquista le azioni in borsa, esattamente come chi apre un’attività.
Pubblicare un libro è un lavoro. Un lavoro che va retribuito, perché su quel lavoro l’azienda ci guadagnerà. La tua azienda guadagna anche grazie al tuo lavoro; l’editore guadagna grazie al tuo libro.
Sarebbe come pensare a un ristorante senza pietanze: se chi gli fornisce gli alimenti non viene pagato il ristoratore rimarrà presto senza nulla da dare ai suoi clienti. Il ristoratore non chiede al suo fornitore di pagarlo per fornirgli la merce, è l’esatto opposto.
Ci pensi a un venditore all’ingrosso che viene apostrofato con “o mi paghi o io la tua merce non la prendo”?
Pubblicare senza essere conosciuti non è impossibile. Così come non è impossibile pubblicare gratis. Gli editori che pubblicano esordienti senza chiedere un centesimo ce ne sono a centinaia (e qui ne potete trovare più di 120).
E se nessun editore non a pagamento ti pubblica ti si aprono due vie: rinunciare e pensare che probabilmente nel testo c’è qualcosa che non va o scegliere l’autopubblicazione tramite un POD (Print On Demand) come Lulu o Boopen o Ilmiolibro, avendo cura di dare la disponibilità del download gratuito assieme all’acquisto del testo cartaceo.
Se stai pensando che in questo modo, senza un editore a pagamento alle spalle, non avrai editing, correzione bozze, copertina e promozione sbagli: l’unica cosa che ti mancherà sarà la copertina.
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