Fame di vivere. Fame di scrivere. Fame d'amore. Fame di acqua e whisky. Fame di avere fame.
Amelie Nothomb mette nero su bianco i suoi primi diciassette anni attraverso una serie di flash che divorano il tempo con voracità animalesca. Alcolizzata dall'età di cinque anni tenta il suicidio per la prima volta a tre, a sette decide che a dodici anni morirà (e spera di non annoiarsi nei cinque anni che le restano) e a tredici diventa anoressica.
Percorre queste tappe così autenticamente surreali mentre il suo corpo affamato di vita fa il giro del mondo: Belgio, Giappone, Cina, New York, Birmania, Laos, Nepal, Bangladesh, di nuovo Giappone, di nuovo Belgio. Fame di mondo. Fame di parole.
Nel corso della sua infanzia assaggia lemma dopo lemma l'intero dizionario: abito, soffrire e bagnarsi le rimangono indigeste. Mai e no le urticano lo stomaco. Grande e bellezza le inebriano i sensi. Le parole irradiano la sua vita come vampate d'ossigeno. La celebrano, la innalzano, la seducono. Le parole diventano la sua vita. Le parole sono Amelie.
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