Credo sia l'unico romanzo a tema lgbt - dei pochi che ho letto, off course - a non avermi né annoiata né delusa. Forse perché Fannie Flagg ha avuto la straordinaria capacità di non banalizzare nessun aspetto del legame tra Idgie e Ruth, che del resto non viene mai chiamato per nome. Perché in fondo, quando c'è un sentimento forte - di qualunque natura esso sia, che si tratti di amicizia, amore, passione o qualunque altra cosa - le parole diventano superflue.
Le difficoltà dell'integrazione razziale nell'America pre-Martin Luther King fanno da sfondo al legame unico tra queste due donne, che gestiscono un caffè alla fermata del treno (da qui il titolo del film tratto dal libro).
La storia di Idgie e Ruth è raccontata in flashback da un'anziana signora ricoverata in una casa di riposo, a cui Evelyn va a far visita ogni domenica mentre il marito tiene compagnia all'anziana madre, anch'essa ospitata lì. Le parole di questa misteriosa signora fanno riflettere molto Evelyn, casalinga con l'ossessione del cibo e un marito che non la considera quanto vorrebbe. A volte basta davvero poco, un incontro inaspettato e una storia ai limiti del surreale ascoltata domenica dopo domenica, per decidere di dare una svolta alla propria vita.
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