giovedì 16 dicembre 2010

Datemi un posto da chiamare casa

Quando sono a lezione mi rendo conto che c'è una buona fetta di miei colleghi-studenti che non vive più con i genitori. Quasi tutti miei coetanei, o anche meno. Vuoi per scelta, vuoi perché vengono da altre città, fatto sta che una buona parte di loro sta per conto proprio. Li guardo, li ascolto parlare, lì osservo arrivare ogni tanto con la valigia, e mi chiedo come lo hanno vissuto. Se anche loro hanno una nonna o una zia che, non appena sono venute a saperlo, hanno telefonato alla loro mamma fino a farla piangere, accusandola di non aver saputo educare una figlia che va chissà dove a fare chissà cosa con chissà chi. Se anche loro hanno una nonna o una zia vigliacche al punto che mai, mai, MAI hanno provato ad accusarle direttamente, a dirle le cose in faccia. Se anche loro hanno passato le settimane prima del trasloco sentendosi in colpa e pensando a quali storie inventare per indorare la realtà. Se anche per loro tornare a casa è ogni volta un incubo.
Ho pronunciato la parola 'trasloco' per la prima volta un anno e mezzo fa. Avevo ricevuto due promesse, una che mi garantiva una casa, l'altra che mi assicurava uno stipendio più o meno in grado di mantenerla. Due promesse che si sono infrante quasi subito. O meglio, la prima continua a esistere, ma non può realizzarsi per circostanze che non dipendono dai miei genitori. Fra qualche mese però, se tutto andrà come mi auguro, non dovrò più dipendere dalle promesse di nessuno. Potrò permettermi una stanza tutta per me. Ho già in testa la data del trasloco. Dovrei essere felice, e lo sono, ma al tempo stesso non faccio che pensare a quello che succederà. A quello che mia madre dovrà subire quando la faccenda sarà di dominio pubblico. Io che me ne vado senza essere sposata (!), senza essere laureata (!), a vivere con persone che la mia famiglia non conosce (!) o, peggio ancora, da sola (!). Scandalo e disonore che vomiteranno addosso a mia madre, lei che per tante ragioni quel Vaffanculo non lo può e non lo riesce a gridare. E io che neppure lo grido più per rispetto verso di lei che per rispetto di me stessa. Non mi tiro e non mi tirerò indietro nelle mie scelte, questo no. Ma ho paura. Ho paura di quello che potrebbe succedere. Ho paura di non riuscire as reggerne le conseguenze quando sarà il momento. Ho paura perché tutti faranno a gara per farmi sentire in colpa, e qualcuno vincerà. E non so come fare a buttare via questa paura.

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