giovedì 23 agosto 2012

Facebook serve a qualcosa? Dall'Egitto al Perù passando per il marketing

Uno.

Ho appena terminato di leggere Rivoluzione 2.0, un libro che consiglio a tutti. Wael Ghonim, nato e cresciuto in Egitto e dipendente di Google, è considerato uno degli ispiratori dei movimenti di piazza che hanno portato alla destituzione di Hosni Mubarak, nonostante a quei tempi vivesse per motivi di lavoro in un altro Paese.

In che modo ha potuto farlo? Dopo aver visto in Rete le foto di un ragazzo torturato e ucciso dalla polizia, il cui nome era Khaled Saeed, ha creato una pagina Facebook in memoria di lui e di tutte le altre vittime del regime, che aggiornava quotidianamente per sensibilizzare sulla reale situazione politica e sociale dell'Egitto

Pubblicava foto di vittime della polizia, confutava le notizie passate dai mezzi di informazione ufficiali e dal governo, chiedeva al governo di indagare e intervenire perché non fossero commessi abusi, esprimeva le sue idee su come avrebbe dovuto essere il suo Paese.

La sua pagina Facebook ha acquisito in pochissimo tempo migliaia di fan, che hanno iniziato a incontrarsi dal vivo per sit-in non violenti in varie città del Paese, con date e luoghi stabiliti attraverso gli Eventi di Facebook.

Di fronte a mezzi di informazione manipolati e alla difficoltà di far conoscere al più ampio numero di persone possibile ciò che realmente avviene nel proprio Paese, Wael Ghonim ha scelto di affidarsi a uno strumento che le persone si sono abituate a usare per svago e ha reso possibile la circolazione di messaggi forti, che a colpi di like, commenti e condivisioni hanno dato la possibilità, a persone molto lontane tra loro e che nella "vita reale" non avrebbero mai potuto incontrarsi, di riflettere su presente e futuro dell'Egitto. Un fenomeno senza precedenti, le cui conseguenze sono state talmente sottovalutate da chi detiene le redini del potere che solo dopo molti mesi il governo ha imposto l'oscuramento dei social network.

I cortei e i sit-in di piazza Tahrir sono nati anche grazie al passaparola su Facebook.

Due.

Ieri a casa dei miei è venuta una signora peruviana. Una delle tante che hanno lasciato il proprio Paese in cerca di un lavoro che garantisse una maggiore remunerazione, la possibilità di far studiare i figli o contribuire alla vecchiaia dei genitori. Una delle tante (chissà, che magari al loro Paese si sono laureate) che finiscono per lavorare come cameriere, colf o badanti. Questa signora voleva vedere i suoi figli, i suoi fratelli, i suoi amici. Si è collegata a Facebook e ha sfogliato le loro ultime foto, i loro link, i loro messaggi di stato. A causa del fuso orario non erano online, ma ha lasciato loro un messaggio.

Facebook ha abbattuto, anche se per pochi minuti, le migliaia di chilometri che li separano. 

Facebook permette alle persone di comunicare tra loro, sempre.

Tre.

Due giorni fa ho letto un post sul blog di Riccardo Scandellari a proposito del marketing su Facebook. La sostanza del post è la seguente: il marketing su Facebook non serve a niente.

Per lavoro mi occupo (anche) di marketing su Facebook. Spero di non darmi la zappa sui piedi dicendo che sono d'accordo con il contenuto del post.

Penso che un'azienda che crea una pagina su Facebook convinta che si tratti di una panacea per monetizzare in tempi più celeri, non abbia capito niente.

Penso che un'azienda che crea una pagina su Facebook "perché lo fanno tutti" e poi si affida a un fantomatico social media fuffa expert dicendogli che vuole diecimila fan entro un mese, non abbia capito niente.

Penso che un'azienda che crea una pagina su Facebook e poi censura chi fa commenti negativi o scomodi, non abbia capito niente.

Penso che il marketing sia un momento di serendipità colto mentre si svolge quella che è la vera ragione per cui Facebook e ogni altra forma di comunicazione via web servono a qualcosa: far parlare tra loro le persone.

Chi lo capisce, chi decide di parlare (prima) e di fare marketing (poi), allora sta facendo un buon marketing.

Tutto il resto è fuffa.

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