Carla è stata una bambina sola. Non che giocare con gli altri non le piacesse, anzi. Solo che a ogni tornata di Barbie voleva essere sempre lei quella che sposava Ken. Carla ha imparato a leggere troppo presto e a parlare troppo tardi. Non il parlare inteso come far vibrare le corde vocali, emettendo suoni che si articolano in frasi secondo un codice linguistico culturalmente appreso. Il parlare che è gioia, amicizia, amore. Il parlare che dice Quanto è bello che tu sia parte della mia vita.
Carla è stata una bambina che piangeva. Piangeva per la cacca finta posata sulla sedia a scuola, per le risate che seguivano i suoi disastri nell'ora di educazione fisica, per non aver capito subito come nascono veramente i bambini. Carla sapeva che non tutti amavano la sua presenza. Carla sentiva che il problema era suo.
Carla è diventata grande tra le lacrime, le Barbie e i libri. I libri non l'hanno mai fatta piangere, a eccezione di un banalissimo Hai scelto Libby?. I libri sono il suo mondo ancora oggi: ama leggerli, ama sognare e tentare di scriverli, ama trasformarli pezzo a pezzo nel suo lavoro.
Anche oggi Carla è sola. E' sola nella sua camera da letto dove il cellulare prende poco, mentre chi divide con lei la casa si alza da tavola per non mangiare in sua presenza. Antipatia conclamata o diffidenza dei primi giorni? Carla sente che il problema non è suo.
Carla è sola, ma non è sola. Ha una famiglia così lontana e così imperfetta, ma è la sua famiglia. Ha un amore così folle e così sanguigno, ma è il suo amore. Ha una sorella maggiore, adottata con una lunga lettera e due brioche alla marmellata di more. Ha il cappello verde da Qua in un improbabile e fantastico trio di papere. Ha tanti caffè e tanti aperitivi da prendere con persone inattese fino a pochi mesi prima. Carla è sola, ma non è sola.
Carla non è più la Barbie che deve sposare Ken a tutti i costi. Carla è la Barbie che indossa il costume da bagno nuovo e si tuffa in mare, e scopre anno dopo anno di saper ancora nuotare.
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