Cinque giorni. Sara ha vissuto il conto alla rovescia a pieni polmoni, assaporandone ogni sfaccettatura: l'entusiasmo, la malinconia, la paura, poi di nuovo l'entusiasmo, poi di nuovo la malinconia, poi di nuovo la paura. Contava e ricontava il contenuto di bagagli immaginari, ben sapendo che nel passaggio alla realtà qualcosa sarebbe sfuggito.
Sara era abituata ad affrontare la vita con la baldanza di un ariete, senza mai dare nulla per scontato. Per esempio, non dava per scontato che lasciare le mutande del giorno prima in un catino sarebbe rimasta conditio sine qua non per riaverle pulite e stirate il giorno dopo. Dava invece per scontate cose più semplici, e proprio per questo meno tangibili nell'immediato. Per esempio, ogni volta che la sua matita per gli occhi aveva bisogno di essere temperata, Sara passava dalla camera al bagno e frugava nel beauty case della sua mamma. Sara non ha mai avuto un temperino per la matita per gli occhi tutto suo.
Sara va al lavoro come ogni giorno. Rallenta il passo per osservare meglio, tendere l'orecchio, respirare. Gli autobus, ad esempio. La sua nuova vita che inchioda a ogni semaforo rosso, arriva in anticipo quando non c'è fretta e in ritardo quando il tempo stringe. I supermercati. Inventare ogni giorno nuove combinazioni di colori, sapori e odori, non dico per farle risalire la china dei sessanta, ma almeno per non scendere sotto i cinquantotto. L'umido. Dormire poco e male d'estate per ottenere in cambio un inverno più mite.
Sara non conta più le ore, né i giorni. Conta piuttosto gli euro che le scivoleranno tra le dita, com'è nel suo Dna formatosi all'ombra della Lanterna. Conta i passi che farà, così piccola in un mondo così grande. Conta tutti quelli che le hanno detto che tutto questo è decisivo per crescere davvero. Conta tutti quelli che la credono pazza. Conta le dita della sua mano. Cinque giorni.
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