venerdì 15 febbraio 2013

Capita (Gina Lagorio)

Fino a qualche giorno fa, confesso che Gina Lagorio era per me solo un nome. Un cui era (è) intitolata una delle palazzine della mia Università, al Campus di Savona. Non ho mai approfondito la vita e le opere di questa signora, finché Claudia non mi ha consigliato di cercare il suo ultimo libro, una sorta di testamento scritto nel periodo della sua malattia.

Giungo così alla scoperta di Capita (Garzanti, 2005), un piccolo memoriale dettato subito dopo l'ictus da questa scrittrice quattro volte ventenne, che fra ricoveri in ospedale, difficoltà nel quotidiano (mangiare, vestirsi, andare in bagno) e l'affetto di figlie, nipoti e infermiere, racconta lo straordinario attaccamento alla vita di una donna altrettanto straordinaria.

Capace di frasi come Ora lo so, che camminare nel sole, nuotare nell'acqua, respirare tra amici, è vita, è la vita. E il resto è miseria, scarto, niente. Frasi che in una commedia romantica si sono sentite decine di volte, sempre uguali e sempre banali, ma che solo qui assumono il loro vero senso.

Un insieme di frammenti del presente e del passato, che mostrano una donna capace di raccontare Camillo Sbarbaro e il Cantico dei Cantici, ma anche il Grande Fratello 4 con un nipote di Papa tra i concorrenti e La 25a ora di Spike Lee e Marlon Brando in Apocalypse now. Frammenti che raccontano di padelle e sedute di fisioterapia, di una nipotina vivace e di infermiere amorevoli con cui conversare.

Un libro breve, ma che merita tanta attenzione.

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