Ho scritto un ebook che contiene nel titolo la parola blog-terapia. Mi rendo conto solo adesso che non ne avevo capito a fondo il significato. Definisco il blog uno strumento terapeutico, oltre che di lavoro e di visibilità, ma rifiutavo di viverlo in quest'ottica. Qualche giorno fa qualcosa è cambiato. In un momento di rabbia ho sputato fuori tutto ciò che provo nei confronti di quella parte di famiglia che per tutta la vita ha saputo (quasi) solo farmi del male. In un altro momento di rabbia ho parlato di cosa ancora frena il mio desiderio di trovare una casa.
Qualcosa è successo. Quasi un miracolo. Due sere fa, per la prima volta in vita mia, ho trovato il coraggio di dire a mia mamma che la sua malattia mi fa stare male. O meglio, glielo ha detto mio padre, perché io piangevo troppo per farlo. Internet a casa non funziona, e il pensiero di dover stare più tempo fuori per riuscire a lavorare mi devastava. Il senso di colpa che "provo da mò" (sempre parole di mio padre) perché non sono in casa per stendere, stirare, portare fuori il cane e chissà che altro. Mi sembra di non fare niente, invece "faccio fin troppo" (ancora parole di mio padre).
Non so e non voglio descrivere tutti gli attimi che hanno reso quella sera così importante. Non che ora la mia vita sia così cambiata. So che sobbalzerò ancora a ogni sua telefonata mentre sono via, so che ancora le risponderò male, so che ancora mi arrabbierò per i vestiti che compra o perché non legge abbastanza. So che mi sentirò ancora in colpa per ogni treno dopo che prenderò la sera, per ogni notte che passerò fuori, per ogni vacanza. Per ogni volta in cui non sarò io a portare fuori il cane. Ma almeno ora so che loro non vogliono che io mi senta così. Ed è un buon primo passo per guardare avanti.
Fino a qualche giorno fa avrei affidato questi sfoghi solo alla mia testa o al mio quaderno. Non avrei mai pensato di scriverli proprio qui, dove chiunque può leggermi, incluse quelle persone a cui la parte di me ancora vittima dei sensi di colpa non vorrebbe mostrarsi debole. Parlare della mia famiglia è qualcosa che non riesco a fare: un po' perché mi vergogno, un po' perché sono affari miei, un po' perché quando lo faccio assumo quel tono odioso della persona che vuole farsi compatire. Farlo qui è come un esercizio per imparare a parlarne. Capire qual è il modo giusto per parlarne, e dunque qual è il modo giusto per vivere. Farlo qui mi rende felice, svuotata, nuova. E' una sensazione che mi fa stare bene.
2 commenti:
Come hai ragione Marta.. scrivere è proprio terapeutico...
Anche per chi come me, non è proprio "una scrittrice"!!
Come una specie di Forrest Gump virtuale, per me scrivere diventa più facile che parlare…
Scrivo nel blog come se parlassi a me stessa...
Un foglio bianco è un ottimo amico a cui affidare le tue riflessioni e i tuoi pensieri, tutti.. anche quelli più nascosti.. sta lì vuoto ad ascoltarti veramente, senza giudicare… e tu gli racconti, parli.. parli.. come non hai mai fatto
Ho scoperto che anche solo con un’immagine… solo citando delle battute di un film.. o due righe di poesia.. o il testo di una canzone, puoi dire tanto di te stesso... ma SOLO a chi è in grado di ascoltare
Pagine piene d'amore, o pagine piene di rabbia, pagine piene di felicità o di tristezza, piene di forza o piene di debolezza… pagine piene di noi…
“Nascosti” dietro ad un monitor, soli con noi stessi, le dita volano sulla tastiera collegate direttamente al cuore, regalando, SOLO a chi sa comprenderla, la parte migliore di noi...
"Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità il cui senso è la nostra vita.
Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un racconto, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità.
Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi, possedere se necessario ripossedere, la storia del nostro vissuto.
Dobbiamo ripetere noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi.
L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé".
(O. Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello)
buon racconto :)
Laura C.
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