giovedì 30 settembre 2010

Una foto che cambia la vita (seconda parte)

E' difficile tenere le fila di un discorso come quello iniziato ieri. Si tratta di costruzione dell'identità, non di vaghi discorsi sulle tecniche di scrittura.

So che vedendo la mostra ho avuto un flash. Ho capito che amo le arti brevi: scattare fotografia, suonare una canzone, scrivere un post. Le arti lunghe vanno bene da spettatrice: amo leggere un libro, vedere un film o una mostra, ma forse non mi vedo poi così tanto dall'altra parte, dalla parte di chi crea.

Amo la brevità, perché mi consente di vivere mille vite tutte insieme. La vita di chi in un giorno solo dorme, mangia, legge, studia, lavora, fa l'amore, blogga, suona, fotografa, cammina, porta fuori il cane, canta, balla, esce, rientra, blogga di nuovo, legge ancora un po', corre di qua e di là, cucina, blogga un'ultima volta e poi dorme di nuovo.

Forse la mia dimensione nella scrittura sta in una forma di brevità. Forse il romanzo è una parentesi, come quegli artisti che fanno un po' di tutto ed è proprio questo che li rende grandi. Il mio unico romanzo in mezzo a una marea di post.

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