Si parla spesso di “crisi
del giornalismo”, negli ultimi tempi. Espressione errata a mio parere. Sono piuttosto due i termini con cui
sostituirla. Anzitutto “crisi dei ricavi pubblicitari”, che
permettono al giornalismo di sopravvivere economicamente ma non sono
il giornalismo. A seguire,
quella che si può definire “crisi da surplus del mezzo”. Mi spiego meglio. In anni
recenti i giornalisti hanno visto amplificarsi le opportunità di
comunicare con i propri lettori: non più solo attraverso uno spazio
di pagina stampata che viene pubblicato il giorno seguente, la
settimana seguente o il mese seguente, ma tramite articoli online
video, tweet e così via. Strumenti che portano con sé due
caratteristiche: da un lato l'istantaneità della comunicazione,
dall'altro l'apertura di un canale di comunicazione bidirezionale e
costante nel tempo con i propri lettori. Il giornalismo ha smesso di
essere solo broadcasting
ed è diventato terreno di scambio e di confronto.
Altro
che fattore di crisi: perché un giornalista dovrebbe sentirsi
penalizzato dal confronto diretto con i lettori attraverso i social
network? Invece di considerarli un'ulteriore opportunità per scovare
notizie, dialogare, avere feedback immediati sul proprio lavoro, li
si considera il nemico. E chi vive attivamente i social network come
primaria fonte di informazione e di comunicazione considera il
giornalista tradizionale una figura obsoleta, che rimarrà presto o
tardi vittima di questo tsunami dell'informazione (il termine tsunami
non è scelto a caso).
Accade
per esempio - e accade spesso - un fenomeno di cui le grilline (o grillesche, che dir si voglia) espressioni sono solo la punta dell'iceberg: un giornalista X di carta stampata definisce il web “merda”;
alcuni blogger replicano con un post dove dicono che la “merda” è il giornalista di carta stampata.
Risultato? Nessuno di loro ha dato un servizio ai
propri lettori, ma si sono limitati a battibeccare a distanza su “con
quale dito bisogna indicare la luna”. Un lettore attento dovrebbe
lasciar perdere i discorsi sulle dita e concentrarsi sulla luna: il
rovescio della medaglia è che molte persone vivono un'informazione
fatta di timeline, non
digitano più indirizzi sull'apposita barra del loro browser né
sanno come sia fatta la home page di un sito (che magari consultano
ogni giorno!), ma si limitano – nella maggior parte dei casi – a
lasciar scorrere le timeline di
Facebook, Twitter e affini pescando qua e là temi che reputano
interessanti ma di cui un minuto dopo, in piena e inconsapevole
adesione alla logica perversa delle timeline,
si sono dimenticati.
O, ancora peggio, mettono un like o
un retweet o lasciano
un commento a un post che non hanno nemmeno letto, su cui non hanno
cliccato. Hanno letto il titolo, magari i commenti lasciati da utenti
precedenti, e pensano così di aver capito.
Aggiungiamo
dunque una terza accezione della crisi che dicevo all'inizio: la
crisi del lettore, in cui è stato instillato il microchip (anche
qui, espressione non casuale) secondo cui l'informazione mordi
e fuggi è la regola, “intanto
nessuno approfondisce più”.
Qui
sta il ruolo del giornalista. Qui sta la ragione per cui il
giornalismo non deve morire e non morirà (forse). Il giornalista
deve essere chi lascia perdere le dita e guarda la luna. Chi educa i
suoi lettori a guardare la luna e lasciar perdere le dita. George
Orwell distingueva tra giornalismo e pubbliche relazioni: quando un
giornalista riceve comunicati stampa, viene invitato a conferenze
stampa, intervista il vip di
turno, sta facendo giornalismo o pubbliche relazioni? Si può
definire giornalismo lo scrivere notizie preconfezionate da qualcun
altro, scriverle esattamente nel modo e nei tempi in cui quel qualcun
altro vuole che le scriviamo? Si
può definire giornalismo il non guardare oltre la notizia
preconfezionata, per capire se c'è uno spiraglio oltre il quale
l'ufficio stampa in questione non è andato, uno spiraglio che può
dare ai lettori un valore aggiunto rispetto alla notizia che leggerà,
guarderà e ascolterà identica da più fonti? (incluse le decine di
fonti che fanno del copia-e-incolla la loro unica vocazione)
Ogni
volta che si appresta a scrivere una notizia, qualunque essa sia, il
giornalista deve prendersi un minuto di riflessione per fare i conti
con la propria coscienza. Riflessione che va a prescindere dal mezzo,
che sia carta stampata, web, video, post su Facebook o tweet.
Riflessione che va a prescindere dal contratto di lavoro, da quanto
si è pagati e dal rapporto con i colleghi.
Ovvero,
deve porsi ogni volta alcune domande: a chi sto fornendo un servizio,
nel dare questa notizia? Al mio ego, al mio editore, all'ufficio
stampa che me l'ha mandata, al mio inserzionista, al mio lettore? A
chi serve sapere
quello che la notizia contiene? Come posso verificare che quanto
scriverò è vero, che non ci sono voci altre che
ho omesso di ascoltare, che esistono dettagli che non ho cercato
abbastanza? Come posso dare un valore aggiunto, rispetto alle altre
testate che scriveranno questa stessa notizia? Farò veramente tutto
il possibile affinché il lettore capisca quello
che sto dicendo e mi sia grato (sia grato proprio a me)
perchè gliel'ho detto? Infine, se fallirò, saprò ammettere di aver
fallito e da lì ricominciare?
[ps. questo post è frutto di una riflessione maturata da un articolo di Laura Guglielmi, pubblicato su Mentelocale e su Blue Liguria]
[pps. l'immagine viene da qui]
2 commenti:
Profonde riflessioni, Marta, espresse con tutta la tua competenza ed esperienza.
Hai ragione, probabilmente molte persone condividono articoli e fanno il retweet di link che non hanno neppure aperto, pessima abitudine.
Concordo con quanto hai scritto a proposito delle necessarie contromisure che dovrebbe prendere un giornalista quando scrive un pezzo, quello bravi ne sono capaci e si distinguono secondo me.
Brava tu a scrivere questo post, traspare tutta la tua vera passione per il tuo mestiere.
Un abbraccio!
Grazie carissima, sono convinta che il ruolo dei giornalisti dovrebbe essere quello di (ri)educare i lettori a informarsi nel modo più corretto.
Personalmente, da quasi-giornalista, cerco di impegnarmi perché ciò sia possibile (e spero di farcela, in qualche modo).
Un bacione!
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