(questo, riveduto e corretto)
L'uomo senza musica
Uno – La ragazza del
caffè
Sono le undici e
quarantacinque. Tra pochi minuti Bernie inizierà la quotidiana
operazione frittura, che trasformerà la cucina in un tripudio di
olio esausto e pancetta, e la sottoscritta in una fabbrica di odori
impronunciabili. Mancano due ore alla fine del mio turno e ho servito
duecentosessantacinque caffè: se arrivo a trecento concluderò la
mattinata battendo ogni record personale.
Ho una cosa da fare, nel
pomeriggio. La figlia dell'uomo senza musica mi ha chiesto di andare
nella pasticceria qui di fronte e ordinare una grande torta con il
cioccolato e la glassa, da decorare con la scritta Auguri papà.
Lei lavora a Manhattan, non ha tempo. Undici ore al giorno chiusa in
quel grattacielo, a guadagnare in un mese quello che io prendo in un
anno. Non farei a cambio con lei per nulla al mondo.
La cosa strana è che non
so nemmeno il suo nome. L'ho vista una sola volta di persona,
una domenica. A un certo punto lui è andato in bagno e lei mi si è
avvicinata.
“Scusa, tu lavori qui
tutti i giorni?”
“Certo”
“Posso chiederti un
favore?”
“Certo”
Mi passa un biglietto di
cartoncino giallastro.
“Questo è il mio
numero di cellulare. Mi mandi un sms tutti i giorni, quando lui
arriva? Voglio essere sicura che sia davvero qui e non chissà dove.
Sono così preoccupata per lui, passa tutte le notti in giro con
l'apparecchio spento. Se passasse una macchina contromano o cose del
genere , non se ne accorgerebbe”.
Annuisco.
“Da quanto tempo è
così?”
Lei si volta. Lui ci
mette sempre tanto, in bagno. Ci sono le riviste sportive.
“Tre anni. L'infezione
gli è venuta mentre mia mamma era già in ospedale. Non ha detto
niente a nessuno. Secondo me era già così, quando è morta. Ora
gira sempre con l'apparecchio spento, con tutto quello che mi è
costato. Gli avrò detto mille volte di venire a stare da me, ma lui
niente. Da quando è andato in pensione non ha più voluto saperne di Wtc e cose del genere”.
Faccio sì con la testa.
Io non ci vivrei mai, a Wtc e cose del genere.
Così ieri la figlia
dell'uomo senza musica mi ha mandato un sms e mi ha chiesto se posso
prendergli una torta. “Ti rimborso la prima volta che passò di
lì”, mi ha scritto. Fra due giorni è il compleanno dell'uomo
senza musica, ecco il perché della torta. Compie gli anni il dodici.
Quest'anno il dodici cade di mercoledì, magari la figlia si prende
un giorno di ferie. Se deve dare una festa, può farlo solo qui. Lo
sa che lui festeggerebbe solo qui.
Due – L'uomo senza
musica
Il mio mondo è fatto di
immagini e colori. Sono in grado di vedere a occhio nudo particolari
che sfuggirebbero a chiunque altro: un'ombra di fuliggine su un
colletto di camicia, una foglia caduta su un marciapiede in una
strada completamente priva di alberi, la camminata nervosa di mia
figlia al di là della finestra del suo ufficio gemello al piano
gemello della sua torre gemella. Quest'ultima cosa almeno fino alla
pensione, finché ho vissuto anche io a Manhattan.
Sono in grado di
camminare da solo in una strada poco illuminata, a notte fonda: la mattina arrivo a casa stanco e
non mi sveglio mai prima di mezzogiorno. Quando mia figlia mi manda
un sms durante la sua pausa pranzo, io mi sto vestendo per andare a
fare colazione al bar.
Scelgo sempre lo stesso,
a due passi dal portone. La ragazza del caffè ha le lentiggini e un
brillantino al naso sempre intonato al colore della maglietta. Quando
sorride porgendomi il caffè lascia sempre intravedere quell'incisivo
scheggiato: lo immagino come il nostro piccolo segreto, scommetto che
nessun altro se n'è mai accorto.
Oggi però non sorride. Anzi, quando sono entrato ha preso un'aria imbronciata, quasi
spenta. Ha abbassato la testa e si è messa a trafficare con una
spugnetta gialla. C'è qualcosa di diverso: non ho bisogno di
accendere il mio apparecchio per sentire che nessuno sta parlando.
Sono tutti con lo sguardo incollato al grosso televisore appeso al
muro. Pare che abbia preso fuoco un grattacielo. Solo adesso mi viene
in mente che mia figlia non mi ha ancora mandato il solito primo sms
della giornata. Mi decido e accendo l'apparecchio.
“Cosa è successo?”,
chiedo alla ragazza del caffè.
Tre – Le macerie
Macerie, nome comune di
cosa femminile plurale. Indeclinabile. Mai sentita la parola
“maceria”. È anche un termine difficile da definire. Tutti
sappiamo cosa sono, ma raffigurarle nella mente è un'altra cosa.
Domanda a un bambino di disegnare delle macerie e avrai davanti a te
solo tante sfumature di fumo e fuoco, con qualche palazzo rotto.
Anche qui c'è un palazzo rotto. Anzi due. Ci sono anche il fumo e il
fuoco. Due torri alte che per ore hanno danzato nel fumo e nel fuoco,
accasciandosi lentamente al ritmo del vento. Plié, pirouette,
inchino, giù il sipario. È qui che arrivano le macerie.
Su queste macerie il sole
è tramontato e poi è sorto di nuovo. Il tempo va avanti come se non
ci fossero macerie. Come se le torri fossero ancora al loro posto, a
fare ombra alla strada. Invece a fare ombra è solo la nuvola grigia
di fumo.
Le macerie sono un
insieme di tutto e di niente. Gli ingredienti sono gli stessi di
un posto normale: i muri, i mobili, gli oggetti, le persone. Solo che
sono tutti accatastati nel niente. Sono diventati trucioli. Anche i
rumori ci sono tutti, ma scontrandosi tra loro generano uno strano
silenzio.
Sono senza musica, le
macerie. È come se l'apparecchio acustico che regola i suoni del
mondo si fosse spento. Una pallina di gomma rosa rotola sul
marciapiede. Un bambino biondo corre e quasi la
raccoglie, ma una mano di donna lo afferra per il polso e lo trascina
via. Uomini con la divisa nera e gialla e uno strano cappello corrono
dentro e fuori. Le macerie hanno tante porte d'ingresso. Fuori
rimangono le teste piegate in avanti, le mani sugli occhi, la stoffa
umida sulle palpebre e sulle guance, la bandierina a stelle e strisce
fra le mani, la fuliggine sulle spalle. E poi le telecamere.
Sono dappertutto. Persone vestite eleganti e senza fuliggine sulle
spalle, che tengono in mano un grosso microfono e parlano. Parlano.
Parlano. Guardano in camera. Nessun suono esce dalla loro bocca.
C'è un odore curioso,
nell'aria. Le macerie odorano di forno a legna. In questa città
nessuno ha il forno a legna. Vanno tutti nei fast food e mangiano
hamburger scaldati al microonde o fritti nell'olio. O entrambe le
cose. C'è anche odore di olio fritto, nell'aria. Forse qualcuno di
loro stava facendo colazione. C'è sempre troppo olio nel cibo, anche
a colazione. Quello che manca è l'odore del caffè. Non era ancora
l'ora del caffè, quando sono arrivate le macerie.
[photo credit: 123rf.com]
2 commenti:
questo me l'ero perso: bellissimo!
Grazie!! :)
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